La Signora Ava di Franceso Jovine
E’ un romanzo misto di storia e di invenzione maturato a lungo e travagliosamente nella mente dell’autore.
Una delle ragioni del travaglio è l'esigenza di liquidare la venatura romantica, per "l'esattezza e lo scrupolo della ricostruzione storica".
La favola che avvolge la vicenda è in funzione ironica, e l'ironia si esercita intorno a un preciso momento storico, centrale nella storia del Mezzogiorno: il biennio 1860-61, che vede il crollo del Regno Borbonico, l'effimero entusiasmo garibaldino, la nascita dello Stato sabaudo, l'esplosione della "diversità" meridionale e il primo tempo del brigantaggio postunitario.
In Signora Ava, è lucidamente rappresentata la stratificazione sociale propria dell'epoca c'è una borghesia agraria parassitaria, incarnata dall'usuraio don Eutichio De Risio; c'è una borghesia non ottusa e anzi sensibile a una certa giustizia sociale, aperta alle idee liberali e alle innovazioni garibaldine; c'è un basso clero inerte, conformista, ligio agli interessi clientelari della borghesia agraria; c'è una classe contadina succube, rassegnata, spremuta da intatti rapporti feudali, e Pietro Veleno ne costituisce il personaggio tipico che sa, o crede di sapere, di dover morire contadino come contadini sono stati i suoi genitori e i suoi avi; c'è qualche prete di origine contadina anche lui, povero ma a suo modo ribelle, non conformista, insofferente senza essere rivoluzionario e vittima senza rassegnazione: don Matteo Tridone (economo della parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli di Tavenna dal 15/11/1803 al 20/06/1805).
La famiglia De Risio, intorno alla quale si muove l'intera vicenda romanzesca, non è che una metafora, ma storica, e la stessa località di Guardialfiera diventa il "punto di vista" ideale dello scrittore, da cui manovrare i propri strumenti di indagine, di ricognizione, di introspezione e di giudizio.
La trama si snoda in due tempi (le due "parti" del libro) perfettamente funzionali l'uno all'altro. Il primo riproduce il momento "statico" della realtà molisana, arroccata intorno alla famiglia De Risio e definita, quasi cristallizzata, in una struttura socio-economica di tipo ancora feudale; all'interno di essa fermentano gesti, rancori, consuetudini, insofferenze, regolati e compressi da un ordine di istituzioni e di convenzioni che quasi si identificano con una legge inamovibile di natura; si muovono, inoltre, e brulicano esistenze, o meglio brandelli di esistenze, le cui ragioni costitutive sembrano affondare in quell'ordine medesimo al di fuori del quale non hanno senso e non trovano spazio. Il secondo tempo rappresenta il momento dell'incrinatura di quella realtà, quando giungono le notizie dei grandi avvenimenti del biennio '60-'61 a scatenare diversi e spesso contrapposti stati d'animo, a mettere in moto illusioni e speranze, paure e presentimenti, a rimescolare vecchie e nuove idee, memorie antiche e recenti. E’, un'insolita, sorprendente ventata di "storia" che si insinua negli animi e li turba, perché la "storia" si decide a mettere a soqquadro la "natura". Ancora una volta, è la vicenda della famiglia De Risio a ricapitolare, a metaforizzare questo scontro fra "storia" e "natura": la disgregazione della famiglia De Risio - emblematizzata dalla fuga di Antonietta con Pietro Veleno, dalla morte del Colonnello, dall'inesorabile inebetimento del Signor zio e persino dallo squallido duplice tradimento di Don Eutichio in preda all'angoscia di una catastrofica resa dei conti - segna la spia del tramonto di un'epoca e certo la messa in moto di forze ideali, per adesso possibili da imbrogliare e deviare, in cui si innesta, sia pure col peso di tutte le ambiguità, quell'autentico fenomeno insurrezionale di massa che fu il brigantaggio.
La seconda parte è ideologicamente piú indicativa della direzione su cui continuerà a muoversi la ricerca narrativa di lovine. Piú che la prosecuzione dell'affresco della prima parte, si configura come scenario di un dramma che sa di passato e di presente: il dramma della illusione, della disperazione e persino - dal "punto di vista" di Jovine - della mancata "occasione storica".
Una delle ragioni del travaglio è l'esigenza di liquidare la venatura romantica, per "l'esattezza e lo scrupolo della ricostruzione storica".
La favola che avvolge la vicenda è in funzione ironica, e l'ironia si esercita intorno a un preciso momento storico, centrale nella storia del Mezzogiorno: il biennio 1860-61, che vede il crollo del Regno Borbonico, l'effimero entusiasmo garibaldino, la nascita dello Stato sabaudo, l'esplosione della "diversità" meridionale e il primo tempo del brigantaggio postunitario.
In Signora Ava, è lucidamente rappresentata la stratificazione sociale propria dell'epoca c'è una borghesia agraria parassitaria, incarnata dall'usuraio don Eutichio De Risio; c'è una borghesia non ottusa e anzi sensibile a una certa giustizia sociale, aperta alle idee liberali e alle innovazioni garibaldine; c'è un basso clero inerte, conformista, ligio agli interessi clientelari della borghesia agraria; c'è una classe contadina succube, rassegnata, spremuta da intatti rapporti feudali, e Pietro Veleno ne costituisce il personaggio tipico che sa, o crede di sapere, di dover morire contadino come contadini sono stati i suoi genitori e i suoi avi; c'è qualche prete di origine contadina anche lui, povero ma a suo modo ribelle, non conformista, insofferente senza essere rivoluzionario e vittima senza rassegnazione: don Matteo Tridone (economo della parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli di Tavenna dal 15/11/1803 al 20/06/1805).
La famiglia De Risio, intorno alla quale si muove l'intera vicenda romanzesca, non è che una metafora, ma storica, e la stessa località di Guardialfiera diventa il "punto di vista" ideale dello scrittore, da cui manovrare i propri strumenti di indagine, di ricognizione, di introspezione e di giudizio.
La trama si snoda in due tempi (le due "parti" del libro) perfettamente funzionali l'uno all'altro. Il primo riproduce il momento "statico" della realtà molisana, arroccata intorno alla famiglia De Risio e definita, quasi cristallizzata, in una struttura socio-economica di tipo ancora feudale; all'interno di essa fermentano gesti, rancori, consuetudini, insofferenze, regolati e compressi da un ordine di istituzioni e di convenzioni che quasi si identificano con una legge inamovibile di natura; si muovono, inoltre, e brulicano esistenze, o meglio brandelli di esistenze, le cui ragioni costitutive sembrano affondare in quell'ordine medesimo al di fuori del quale non hanno senso e non trovano spazio. Il secondo tempo rappresenta il momento dell'incrinatura di quella realtà, quando giungono le notizie dei grandi avvenimenti del biennio '60-'61 a scatenare diversi e spesso contrapposti stati d'animo, a mettere in moto illusioni e speranze, paure e presentimenti, a rimescolare vecchie e nuove idee, memorie antiche e recenti. E’, un'insolita, sorprendente ventata di "storia" che si insinua negli animi e li turba, perché la "storia" si decide a mettere a soqquadro la "natura". Ancora una volta, è la vicenda della famiglia De Risio a ricapitolare, a metaforizzare questo scontro fra "storia" e "natura": la disgregazione della famiglia De Risio - emblematizzata dalla fuga di Antonietta con Pietro Veleno, dalla morte del Colonnello, dall'inesorabile inebetimento del Signor zio e persino dallo squallido duplice tradimento di Don Eutichio in preda all'angoscia di una catastrofica resa dei conti - segna la spia del tramonto di un'epoca e certo la messa in moto di forze ideali, per adesso possibili da imbrogliare e deviare, in cui si innesta, sia pure col peso di tutte le ambiguità, quell'autentico fenomeno insurrezionale di massa che fu il brigantaggio.
La seconda parte è ideologicamente piú indicativa della direzione su cui continuerà a muoversi la ricerca narrativa di lovine. Piú che la prosecuzione dell'affresco della prima parte, si configura come scenario di un dramma che sa di passato e di presente: il dramma della illusione, della disperazione e persino - dal "punto di vista" di Jovine - della mancata "occasione storica".
Commenti