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L'EMIGRAZIONE NEL DOPOGUERRA

Dall'esame dei dati relativi al periodo che va dal 1946 al 1960, si può constatare che l'emigrazione permanente ha registrato 2.618.068 espatri di cui 1.628.170 verso i Paesi transoceanici e 989.898 verso i Paesi europei.

Ecco, in ordine di importanza, l'elenco dei Paesi nei quali si è diretto il maggior numero di emigrati italiani:
  1. Francia (516.214);
  2. Argentina (484.068);
  3. USA (259.527);
  4. Canada (253.061);
  5. Venezuela (234.221);
  6. Belgio (233.571);
  7. Australia (219.039);
  8. Brasile (110.932);
  9. Inghilterra (100.576);
  10. Germania occidentale (72.169).
Dai suddetti Paesi sono rimpatriati, nello stesso periodo, circa 425 mila emigrati. Vi è poi da considerare l'emigrazione verso la Svizzera rilevata solo per l'aspetto stagionale dalle statistiche del ministero degli esteri, ma che comprende anche circa 110.000 italiani che risiedono ormai stabilmente nel Paese.
L'emigrazione stagionale - rivolta unicamente verso i Paesi europei - ha registrato dal 1953 al 1960, complessivamente, 1.356.641 espatri. Questa è l'emigrazione, che ha subito un incremento rilevante negli ultimi anni, passando dai 123.561 emigrati del 1955, a 169.814 nel 1957, a 262.514 nel 1959 e a circa 321.000 nel 1960.

Questo forte incremento dell'emigrazione stagionale e temporanea è dovuto, essenzialmente, all'aumento del flusso di mano d'opera italiana verso la Germania occidentale e la Svizzera, dove continua a prodursi una notevole espansione della produzione industriale alla quale i lavoratori italiani recano un contributo importante, specialmente in Svizzera, dove costituiscono il 12 per cento delle unità lavorative occupate nel territorio della Confederazione.

All'incremento dell'emigrazione stagionale e temporanea ha fatto riscontro una contrazione dell'emigrazione permanente verso i Paesi transoceanici e europei, determinata dalle restrizioni alla immigrazione introdotte da alcuni paesi come gli Stati Uniti, il Canada, e l'Australia; dalle difficoltà economiche in cui versano l'Argentina, il Brasile, il Venezuela, e alla svalutazione monetaria che ha colpito in misura più o meno grande tutti i Paesi dell'America Latina; dal perdurare della crisi carbonifera in Belgio e nell'Europa occidentale e, infine, dalla svalutazione del franco e dal rallentato sviluppo dell'economia francese.
La ripresa e lo sviluppo dell'emigrazione nel dopoguerra ha cosi dato, almeno in parte, i risultati che i suoi nuovi sostenitori si attendevano: come " valvola di sicurezza ", contribuendo a ridurre la pressione politica e di classe dei disoccupati per l lavoro e le riforme economiche e sociali; e come " esportazione di uomini " in luogo delle merci, recando un contributo essenziale al pareggio della bilancia dei pagamenti ed alla accumulazione di capitali nella forma di valuta pregiata.

I soldi inviati dagli emigrati alla famiglia rimasta in Italia, infatti, che, secondo i dati dell'Ufficio Italiano Cambi, si aggiravano intorno ai 32 milioni di dollari nel 1947, passarono, con l'incremento dell'emigrazione, a 90 milioni di dollari nel 1949, ed a 102 milioni di dollari nel 1952, per registrare, negli anni successivi un aumento costante. Nel 1958, a 246 milioni di dollari nel 1959 e a 288 milioni di dollari nel 1960. In totale, le rimesse effettuate mediante canali ufficiali dal 1945 al 1960, sono state pari a 2 miliardi e 40 milioni di dollari.

In realtà, attraverso i dati pubblicati dall'Ufficio italiano cambi, si ha un quadro assai parziale dell'entità delle rimesse, perché sfuggono alle rilevazioni dell'Ufficio, quelle effettuate mediante canali non ufficiali, ossia le rimesse inviate alle famiglie con i mezzi più disparati e, in particolare, i risparmi recati in patria dagli emigrati che rimpatriavano.

Da quanto si è detto finora, risulta evidente l'apporto recato dall'emigrazione alla ripresa ed allo sviluppo dell'economia italiana in questo dopoguerra, ossia alla restaurazione e al rafforzamento economico e politico del capitale monopolistico.

Si ha perciò la riprova storica che il fenomeno dell'emigrazione in massa dei lavoratori italiani, è collegata ad un tipo di sviluppo ormai tradizionale del capitalismo italiano, cioè ad uno sviluppo caratterizzato dalla espansione dei gruppi economicamente più forti, dalla subordinazione agli interessi di questi gruppi di tutte le risorse economiche del Paese, dal rapido incremento del commercio estero e dal permanere e dall'aggravarsi delle contraddizioni strutturali della società italiana.

Commenti

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