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Inno Nazionale Italiano

L'Inno di Mameli – o più precisamente Canto degli Italiani (conosciuto anche come Fratelli d'Italia, dal verso introduttivo) – è l'inno nazionale italiano. Fu adottato in via provvisoria il 12 ottobre 1946.

Testo
Nota: quello che segue è il testo completo della poesia originale scritta da Goffredo Mameli, tuttavia l'inno italiano, così come eseguito in ogni occasione ufficiale, è composto dalla prima strofa e dal coro, ripetuti due volte, e termina con un "Sì" deciso. Attualmente, inoltre, il ritornello è «Stringiamci a coorte, / siam pronti alla morte. / Siam pronti alla morte, / l'Italia chiamò» ripetuto due volte. Il resto della poesia richiama episodi rilevanti della lotta per l'unificazione dell'Italia.


Fratelli d'Italia[3]
L'Italia s'è desta
Dell'elmo di Scipio[4]
S'è cinta la testa[5]
Dov'è la vittoria? [6]
Le porga la chioma[7]
Ché schiava di Roma
Iddio la creò
Stringiamci a coorte[8]
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam Popolo
Perché siam divisi[9]
Raccolgaci un'Unica
Bandiera una Speme[10]
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Uniamoci, amiamoci
L'unione e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore
Giuriamo far Libero
Il suolo natio
Uniti, per Dio,[11]
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte,
Siam pronti alla morte,
L'Italia chiamò.
Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,[12]
Ogn'uom di Ferruccio[13]
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla[14]
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò[15]
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Son giunchi che piegano
Le spade vendute[16]
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute
Il sangue d'Italia
Il sangue Polacco[17]
Bevé col cosacco
Ma il cor le bruciò[18]
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Sì (cantato)
Note
  1. ^ Proprio perché il loro principale scopo era questo, assumevano un'importanza prevalente le parole rispetto alla musica, che fondamentalmente doveva solo essere orecchiabile per favorire la memorizzazione e quindi la diffusione delle parole. Per questo molti di questi inni sono solo "marcette", e non ha senso stigmatizzarne la bassa qualità musicale, proprio perché non è altro che la caratteristica del genere.
  2. ^ «Vieto in modo assoluto che si cantino canzoni o ritornelli che non siano quelli della Rivoluzione o che contengano riferimenti a chiunque non sia il DUCE.»
  3. ^ Il primo verso come era stato scritto da Mameli è «Evviva l'Italia»: fu cambiato da Novaro per renderlo più forte.
  4. ^ Scipione l'africano, vincitore di Zama, è portato ad esempio per la capacità della Roma repubblicana di riprendersi dalla sconfitta e combattere valorosamente e vittoriosamente contro il nemico.
  5. ^ L'elmo che l'Italia ha indossato è simbolo dell'incombente lotta contro l'oppressore austriaco.
  6. ^ La dea Vittoria.
  7. ^ Qui il poeta si riferisce all'uso antico di tagliare le chiome alle schiave per distinguerle dalle donne libere che portavano invece i capelli lunghi. Dunque la Vittoria deve porgere la chioma perché le venga tagliata quale schiava di Roma sempre vittoriosa.
  8. ^ La coorte (cohors, cohortis) era un'unità da combattimento dell'esercito romano, decima parte di una legione. Questo riferimento militare molto forte, rafforzato poi dal richiamo alla gloria e alla potenza militare dell'antica Roma, ancora una volta chiama tutti gli uomini alle armi contro l'oppressore.
  9. ^ Mameli sottolinea il fatto che l'Italia, intesa come penisola italica, non è unita. All'epoca infatti (1848) era ancora divisa in sette Stati.
  10. ^ Speranza.
  11. ^ Francesismo, par Dieu, cioè da Dio o attraverso Dio: Dio è dalla parte dei popoli oppressi. Questo è uno dei (non molti) riferimenti a Dio che è possibile trovare nelle opere di Mameli.
  12. ^ La Battaglia di Legnano (29 maggio 1176), con cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa, qui simbolo dell'oppressione straniera.
  13. ^ Francesco Ferrucci, simbolo dell'Assedio di Firenze (2 agosto 1530), con cui le truppe dell'Imperatore volevano abbattere la Repubblica fiorentina per restaurare la signoria dei Medici. In questa circostanza, il Ferrucci morente venne vigliaccamente finito con una pugnalata da Fabrizio Maramaldo, un capitano di ventura al servizio di Carlo V. «Vile, tu uccidi un uomo morto», furono le celebri parole d’infamia che l’eroe rivolse al suo assassino. È da notare come in seguito il nome maramaldo sia stato associato a termini quali vile, traditore, fellone.
  14. ^ Soprannome di Giovan Battista Perasso che il 5 dicembre 1746 diede inizio, col lancio di una pietra ad un ufficiale, alla rivolta genovese che si concluse colla scacciata degli austriaci, che da alcuni mesi occupavano la città.
  15. ^ I Vespri siciliani, l'insurrezione del Lunedì di Pasqua del 1282 contro i francesi estesasi a tutta la Sicilia dopo essere cominciata a Palermo, scatenata dal suono di tutte le campane della città.
  16. ^ Mercenari, di cui si attribuisce anacronisticamente l'uso all'Austria, non valorosi come gli eroi patriottici, bensì deboli come giunchi.
  17. ^ Anche la Polonia era stata invasa dall'Austria, che coll'aiuto della Russia l'aveva smembrata. Il destino della Polonia è singolarmente legato a quello dell'Italia: anche nel suo inno (Mazurca di Dabrowski) c'è un riferimento agli italiani, e dei soldati polacchi combatterono in Italia con le truppe alleate contro i tedeschi alla fine della seconda guerra mondiale, partecipando anche all'assalto finale a Montecassino.
  18. ^ Un augurio e un presagio: il sangue dei popoli oppressi, che si solleveranno contro l'Austria, ne segnerà la fine.

Storia
Nel Risorgimento
Nell'autunno del 1847, Goffredo Mameli scrisse il testo de Il Canto degli Italiani. Dopo aver scartato l'idea di adattarlo a musiche già esistenti, il 10 novembre lo inviò al maestro Michele Novaro, che scrisse di getto la musica, cosicché l'inno poté debuttare il 10 dicembre, quando sul piazzale del Santuario di Oregina fu presentato ai cittadini genovesi e a vari patrioti italiani in occasione del centenario della cacciata degli austriaci.
Era un momento di grande eccitazione: mancavano pochi mesi al celebre 1848, che era già nell'aria: era stata abolita una legge che vietava assembramenti di più di dieci persone, così ben 30000 persone ascoltarono l'inno e l'impararono; nel frattempo Nino Bixio sulle montagne organizzava i falò della notte dell'Appennino. Dopo pochi giorni, tutti conoscevano l'inno, che veniva cantato senza sosta in ogni manifestazione (più o meno pacifica). Durante le Cinque giornate di Milano, gli insorti lo intonavano a squarciagola: il canto degli italiani era già diventato un simbolo del Risorgimento.
Gli inni patriottici come l'inno di Mameli (sicuramente il più importante) ebbero il merito di propagandare gli ideali del Risorgimento e di incitare la popolazione all'insurrezione[1], senza di che certamente non sarebbe stato emanato lo Statuto albertino, né il re si sarebbe impegnato in un rischioso progetto di riunificazione nazionale che lo interessava poco, mentre era al centro dei pensieri dei genovesi, che erano sudditi leali (dal Congresso di Vienna) ma non rinunciavano ai propri ideali alti, guidati in questo da personaggi come Mazzini, Garibaldi, Bixio e Mameli, appunto. Quando l'inno si diffuse, le autorità cercarono di vietarlo, considerandolo eversivo (per via dell'ispirazione repubblicana e anti-monarchica del suo autore); visto il totale fallimento, tentarono di censurare almeno l'ultima parte, estremamente dura cogli Austriaci, al tempo ancora formalmente alleati, ma neanche in questo si ebbe successo.
Dopo la dichiarazione di guerra all'Austria, persino le bande militari lo suonarono senza posa, tanto che il Re fu costretto a ritirare ogni censura del testo, così come abrogò l'articolo dello Statuto albertino secondo cui l'unica bandiera del regno doveva essere la coccarda azzurra, rinunciando agli inutili tentativi di reprimere l'uso del tricolore verde, bianco e rosso, anch'esso impostosi come simbolo patriottico dopo essere stato adottato clandestinamente nel 1831 come simbolo della Giovine Italia.
In seguito, fu intonando l'inno di Mameli che Garibaldi coi Mille intraprese la conquista dell'Italia meridionale e la riunificazione nazionale. Mameli era già morto, ma le parole del suo inno, che invocava un'Italia unita, erano più vive che mai. Anche l'ultima tappa di questo processo, la presa di Roma del 1870, fu accompagnata da cori che lo cantavano accompagnati dagli ottoni dei bersaglieri.
Anche più tardi, per tutta la fine dell'Ottocento e oltre, Fratelli d'Italia rimase molto popolare come in occasione della guerra libica del 1911-12, che lo vide ancora una volta il più importante rappresentante di una nutrita serie di canti patriottici vecchi e nuovi. Lo stesso accadde durante la prima guerra mondiale: l'irredentismo che la caratterizzava, l'obiettivo di completare la riunificazione che infiammava molti uomini nutrendo così gli eserciti italiani, trovò facilmente ancora una volta un simbolo nel Canto degli italiani.

Sotto il fascismo
Dopo la marcia su Roma, assunsero grande importanza, oltre all'inno ufficiale del regno che era sempre la Marcia Reale, i canti più prettamente fascisti, che pur non essendo degli inni ufficiali erano diffusi e pubblicizzati molto capillarmente. I canti risorgimentali furono comunque tollerati, tranne quelli "sovversivi" di stampo anarchico o socialista come l'Inno dei lavoratori o L'Internazionale, oltre a quelli di popoli stranieri non simpatizzanti col fascismo, come La Marsigliese. Anche gli altri canti furono marginalizzati, e ad esempio La leggenda del Piave veniva riesumato solo una volta all'anno nell'anniversario della vittoria, il 4 novembre; infine nel 1932 una disposizione del segretario del partito, Achille Starace, vietò qualunque canto che non facesse riferimento al Duce o alla Rivoluzione fascista.[2]

Nell'Italia repubblicana

Nella seconda guerra mondiale, indicibilmente più dura della prima, non ci fu lo spazio nemmeno per i canti che avevano invece caratterizzato la Grande Guerra nascendo molto spesso dal basso: solo dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 l'inno di Mameli e molti altri vecchi canti assieme a quelli nuovi dei partigiani risuonarono per tutta Italia (anche al Nord, dove erano trasmessi dalla radio) dando coraggio agli italiani. In questo periodo di transizione, sapendo che la monarchia sarebbe stata messa in discussione e che la Marcia Reale sarebbe stata perciò provocatoria, il governo adottò provvisoriamente come inno nazionale La leggenda del Piave. Nel 1945, dopo la fine della guerra, a Londra Toscanini diresse l'esecuzione dell'Inno delle nazioni, composto da Verdi e comprendente anche l'inno di Mameli, che vide così riconosciuta l'importanza che gli spettava. Il Consiglio dei ministri nel 14 ottobre 1946 acconsentì all'uso dell'inno di Mameli come inno nazionale, limitandosi così a non opporsi a quanto decretato dal popolo, anche se alcuni volevano confermare La leggenda del Piave, altri avrebbero preferito il Va', pensiero (celebre aria dall'opera lirica Nabucco) di Giuseppe Verdi e altri ancora avrebbero voluto bandire un concorso per trovare un nuovo inno che sottolineasse la natura repubblicana della nuova Italia, ciò che del resto non era necessario, perché Mameli e il suo inno erano già accoratamente repubblicani (proprio per questo all'inizio erano stati banditi dal regno sabaudo). La Costituzione sancì l'uso del tricolore come bandiera nazionale, ma non stabilì quale sarebbe stato l'inno (una banale dimenticanza?), e nemmeno il simbolo della Repubblica, che essendo fallito il primo concorso dell'ottobre 1946 fu scelto solo con il decreto legislativo del 5 maggio 1948 in seguito a un secondo concorso cui parteciparono 197 loghi di 96 artisti e specialisti, dei quali risultò vincitore Paolo Paschetto, col suo noto emblema.
Cerimoniale
Secondo il cerimoniale ufficiale, le «regole scritte e non scritte» prevedono che normalmente dell'inno di Mameli sia eseguita solo la prima strofa senza l'introduzione strumentale; durante l'esecuzione i soldati devono rimanere fermi presentando le armi, gli ufficiali stare sull'attenti e i civili se vogliono tenere la mano destra sul cuore. Dal 1970 inoltre ogni esecuzione dell'inno nazionale dovrebbe essere accompagnata da quella dell'inno europeo, l'Inno alla gioia della Nona sinfonia di Beethoven.

Critiche
Fratelli d'Italia è stato spesso criticato, e da sempre molti ne hanno ventilata la sostituzione, specie nel corso degli anni novanta.
Le critiche si appuntano in genere sulla bassa qualità musicale dell'inno, rilevandone un carattere di "marcetta" o "canzone da cortile" di poche pretese; si obietta tuttavia che la funzione e gli scopi degli inni patriottici, popolari e di lotta mal si conciliano, in genere, con un'elevata qualità artistica della melodia:[1] né tutti concordano sulla mediocrità di quella scritta da Novaro. Molti poi non ne considerano così brutta la musica; il compositore Roman Vlad, ex sovrintendente della Scala, a un giornalista che gli aveva sottoposto l'idea di rendere l'inno più orecchiabile per accrescerne la popolarità presso il pubblico giovanile risposte che «no, questa è una proposta assurda. L'inno è così com'è, e non si può alterare. E poi non è vero che sia poco orecchiabile o che sia così brutto come si dice.»
È tuttavia vero che la melodia non è sublime, e sicuramente è inferiore a quella dell'inno tedesco di Haydn e al Va', pensiero, il candidato più frequente alla sostituzione; però ciò non basta a fare di quest'ultimo un'alternativa valida. È vero che ai tempi di Verdi il dramma degli ebrei esiliati fu interpetato come una chiara allusione alla condizione di Milano, in mano degli Austriaci, ma ciò non toglie che non contiene nessun riferimento specifico all'Italia o alla sua storia – è il canto di un popolo diverso e perdipiù sconfitto –, perciò ci si chiede quanto possa essere plausibile l'idea di farne l'inno nazionale.
I riferimenti storici e patriottici dell'inno di Mameli a taluni paiono addirittura eccessivi, e il testo in generale eccessivamente retorico e patriottardo, ma d'altronde è normale per un inno nazionale, anzi quelli degli altri Paesi sono spesso suscettibili di interpretazioni ben più nazionalistiche: ad esempio il predetto inno tedesco affermava (nella prima strofa, non più cantata dopo la seconda guerra mondiale) «Germania, Germania, al di sopra di tutto / al di sopra di tutto nel mondo», benché questa traduzione possa risultare fuorviante, in quanto l'über alles incriminato si riferisce, nelle intenzioni dell'autore, all'importanza primaria dell'obiettivo di una Germania libera e unificata piuttosto che a una supposta superiorità della nazione tedesca sulle altre. Altri invece leggono i riferimenti a Roma come un'esaltazione e un'invocazione dell'Impero, quasi un fascismo ante litteram: interpetazione capziosa, perché come abbiamo detto il significato è diverso, e del resto non si vede come si possa pensare altrimenti data la storia dell'autore, che era seguace di Mazzini e Garibaldi e si ispirò alla Marsigliese.
Una critica meno comune, mossa da Antonio Spinosa, è che Fratelli d'Italia sarebbe maschilista, poiché non accenna minimamente a imprese compiute da donne come Rosa Donato, Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi; imprese che in parte sono successive alla morte dell'autore.
Alcuni propongono delle modifiche del testo che senza stravolgerlo ne emendino certi difetti. Una proposta di prima strofa che cancellerebbe i dubbi di maschilismo e nazionalismo imperialista è la seguente: «Fratelli d'Italia / l'Italia s'è desta. / Fratelli e sorelle, / mettiamoci a festa. / Dov'è la vittoria? / che lieta ci arrida, / che premi la sfida / per la libertà.» Quella di effettuare delle piccole modifiche al testo sarebbe l'unica strada percorribile per cancellarne i (presunti) difetti, perché l'inno di Mameli ha segnato la storia dell'Italia, ed è profondamente radicato nella tradizione e negli affetti del popolo italiano, che infatti non ha mai dato corso alle ipotesi di referendum per sostituirlo. Altrettanto improponibile è l'ipotesi, probabilmente provocatoria, di rinunciare a un inno nazionale in favore di venti inni regionali sulla scorta di quanto accade in Svizzera.
Goffredo Mameli

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